LETTERA APERTA ALLE VOLONTARIE E AI VOLONTARI DEI NOSTRI PROGETTI DI SERVIZIO CIVILI E CORPI CIVILI DI PACE ALL’ESTERO RIENTRATI IN ITALIA LA SCORSA SETTIMANA.

Care ragazze e ragazzi,
vogliamo condividere alcune considerazioni, mentre viviamo insieme l’emergenza epidemiologica Covid – 19. Emergenza ormai mondiale.
Non molti giorni fa, abbiamo scritto una lettera aperta ai volontari “sospesi” dei progetti in Italia e dei progetti estero non ancora approdati nei paesi, che aveva utilizzato le parole: “Noi italiani sperimentiamo il sospetto alle frontiere del mondo”.

Oggi sono già parole da aggiornare. La dimensione dell’emergenza sanitaria e sociale del virus si allarga per l’ampiezza della nostra razza umana. Di fronte a tale dispiegamento di fenomeno, siamo stati chiamati a esercitare la nostra responsabilità di ente di servizio civile, vale a dire la nostra facoltà di rispondere con discernimento, il nostro desiderio di prestare attenzione alle conseguenze dei nostri comportamenti in un contesto che è radicalmente cambiato in pochissime ore.
Abbiamo pensato che il modo migliore per rispondere fosse farvi ritornare, finché fossimo in tempo.

Non è possibile ragionare in termini di “razza umana”, come piace fare a molti di noi, quando i governi chiudono frontiere e spazi aerei.
Da lì, insieme a voi, ai vostri responsabili nei Paesi e in contatto con il Dipartimento servizio civile, abbiamo attuato in pochissimo tempo uno sforzo importante, per riorganizzare voli intercontinentali e poi per attraversare un Europa in procinto di rialzare le frontiere. Poi affrontare in Italia la nuova situazione paradossale degli aeroporti e delle stazioni semichiuse e popolate di mascherine.
Certo una piccolissima parte di quello che sostengono quotidianamente donne e uomini in migrazione dalla guerra, dalla fame e dalla dittatura, ma pur sempre una situazione inedita in una società liberale, che ha fatto della ordinaria circolazione dei cittadini europei e delle merci la sua normalità. Che ha fatto dell’ostentazione della buona salute attraverso diete e fitness il suo marchio.

Alcuni di voi in formazione avevano sperimentato l’immedesimazione con persone con disabilità nella città delle barriere. Mentre questa non era un’esercitazione.
In Italia, vi ritrovate in un contesto dove l’imperativo è restare responsabilmente in casa per contribuire a non allargare il virus. Ecco un bel paradosso: tornate per stare al sicuro nel contesto mondiale che cambia, ma poi affrontate una nuova sfida, quella del cambio radicale delle abitudini, per partecipare da cittadini attivi, ma vivendo ritirati, mantenendo le distanze, rispettando le persone più fragili e partecipando alla tenuta del sistema sanitario nazionale. Per sentirsi parte di una comunità che contrasta e contiene un fenomeno in espansione.
Una grande palestra contro il narcisismo: “non sono il centro del mondo” e per la propria autostima “quello che faccio ha un impatto”.
Un po’ siete più al sicuro e un po’ siete stati richiamati a casa per fare una effettiva difesa della patria non armata e non violenta. Siete invitati a non spezzare il filo che vi lega all’esperienza all’estero, che era incontro, condivisione e vita solidale. Non dovrete infatti smettere di essere comunità di servizio civile resiliente nella realtà che vivete.
Questo è il momento per tornare e stare in interdipendenza con i vostri vicini, familiari e connazionali. E’ una prova non meno impegnativa e significativa di quella per cui eravate entrati in relazione con persone di altre culture.

Mentre siete in interdipendenza con i vostri vicini e familiari, provando il gusto di una nuova vicinanza regolata, potrete raccontare la vostra esperienza di solidarietà, in luoghi così lontani, ma fatti degli stessi bisogni materiali e spirituali. Potrete, dopo il periodo di isolamento fiduciario, mettervi al servizio degli anziani e delle persone con disabilità in una nuova solidarietà di condominio. Potrete portare un po’ di respiro del mondo nelle mura ritrovate che abiterete.
Quello che faremo insieme con responsabilità, sarà riscoprire la vera realtà dell’interdipendenza, avendo sperimentato sulla pelle l’interconnessione tra popoli e la brusca interruzione di questa. Ma forse avendo capito che si tratta pur sempre di relazione con un altro da sé. E lo è anche il vicino.

Non siamo onnipotenti e non possiamo governare questo fenomeno. Possiamo però prenderci uno spazio per rimettere in fila i nostri valori e per capire come metterli in gioco nella società globalizzata con le scelte quotidiane. Fra voi c’è chi stava concludendo il progetto e si preparava ai saluti finali, ma c’è anche chi era partito da poco, o stava per partire e non ha potuto farlo. Tenetevi pronti a raggiungere quelle persone che in altre parti del mondo significano oramai qualcosa per voi, o che state aspettando di conoscere. Ma non ora.

Ora è il momento di fermarsi, per coltivare in un modo più creativo un nuovo entusiasmo alla vita di relazione.
E’ l’applicazione del concetto gandhiano di non collaborazione con il male, oggi un virus chiamato Covid-19, che ci porta a mantenere le distanze fisiche di sicurezza con le altre persone.

E’ il concetto taoista del Wu Wei, della non azione, a farci sperimentare l’utilità essenziale del vuoto perché, come ha scritto Laozi 2.500 anni fa: “Trenta raggi convergono sul mozzo, ma è il foro centrale che rende utile la ruota. Plasmiamo la creta per formare un recipiente, ma è il vuoto centrale che rende utile un recipiente. Ritagliamo porte e finestre nelle pareti di una stanza: sono queste aperture che rendono utile una stanza. Perciò il pieno ha una sua funzione, ma l’utilità essenziale appartiene al vuoto.”

Restiamo in contatto, noi ci siamo, perché abbiamo capito oggi più che mai che il nostro problema è il problema dell’altro, “sortirne da soli è l’avarizia, sortirne insieme è la politica”.

Lo staff del CESC Project